Illustrazione: Helder Cardoso
Un bellissimo testo di Donald W. Winnicott che rintraccia l’origine della creatività personale nell’esperienza relazionale di base tra madre e bambino. *
Definizione di creatività
Qualunque sia la definizione di creatività che si voglia accettare essa deve includere il concetto di validità o di inutilità della vita a essere vissuta, e ciò quale conseguenza dell’accettazione o della negazione che la creatività faccia parte dell’esperienza individuale del soggetto.
Per essere creativa, una persona deve esistere e avere il sentimento di esistere, non tanto come certezza consapevole, quanto come un dato di base da cui partire.
La creatività dunque è l’azione che deriva dall’essere, segno che colui che è, è vivo. L’impulso può essere silente, ma quando possiamo parlare di “fare”, allora siamo già in presenza della creatività.
E’ possibile dimostrare che, talora, in alcune persone, tutte quelle attività che indicano che l’individuo è vivo non sono altro che risposte a stimoli: sospeso lo stimolo, la persona non ha più vita. Ma in questo caso, la parola essere non ha alcun significato: affinché l’individuo esista, e ne abbia il sentimento, deve predominare in lui il fare impulsivo su quello reattivo.
Tutto ciò non è semplicemente una questione di volontà, di impostazione e di re-impostazione di vita; i modelli fondamentali, infatti, vengono tutti posti nel corso del processo di crescita emotiva, e inizialmente sono essi i fattori che esercitano la maggiore influenza. Dobbiamo presumere che la maggior parte delle persone si trovino in una posizione intermedia tra i due estremi, ed è proprio questa la posizione che ci consente di intervenire sui nostri propri modelli. (…)
La creatività, quindi, consiste nel mantenere, nel corso della vita, qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare il mondo. Per il bambino ciò non è difficile, perché, se la madre non è in grado di adattarsi ai suoi bisogni, egli non è conscio del fatto che il mondo esisteva prima che lui fosse concepito o pensato. Il principio di realtà è qualcosa di molto negativo, ma, nel momento in cui il bambino viene sollecitato a produrre le prime lallazioni, si sono già verificati in lui importanti mutamenti, grazie ai quali il bambino ha acquisito geneticamente i meccanismi mentali per affrontare quest’offesa: perché il principio di realtà è un’offesa.
Posso descrivere alcuni di questi meccanismi mentali. In presenza di condizioni ambientali sufficientemente buone, il bambino (che diventa poi voi o me) ha trovato il modo per far fronte a quest’offesa. Da una parte la compiacenza viene a semplificare i rapporti con gli altri, i quali hanno da badare alle loro esigenze e al loro bisogno di onnipotenza; dall’altra parte il bambino conserva la sua onnipotenza attraverso la creatività e una visione personale di ogni cosa.
Per esempio, se una madre ha otto figli, vi sono otto madri. E questo non è semplicemente perché essa ha atteggiamenti differenti verso ciascun bambino: quant’anche avesse potuto comportarsi esattamente nello stesso modo con ognuno (il che è assurdo, poiché non è una macchina), ogni bambino avrebbe avuto la sua propria madre vista attraverso i suoi occhi.
Attraverso un complesso processo di crescita, determinato geneticamente, e con l’interazione di fattori esterni, che possono essere facilitanti o ostacolanti al punto da produrre reazioni, il bambino – che è diventato voi o me – ha costruito la capacità di vedere tutto in modo nuovo, di essere creativo in ogni dettaglio della sua vita.
Avrei potuto cercare in un dizionario il termine creatività, fare una ricerca su tutto ciò che è stato scritto su questo argomento da psicologi e filosofi e servirvi il tutto su un piatto d’argento. (…) Ma personalmente non sono capace di comportarmi così: io sento, infatti, il bisogno di parlare come se nessuno avesse mai trattato precedentemente l’argomento di cui mi sto occupando.(…) E spero che possiate riconoscere la mia necessità di non venire soffocato dal mio stesso tema. Evidentemente devo combattere continuamente per sentirmi creativo, ciò che implica lo svantaggio che, se sto considerando una parola semplice come “amore”, devo partire da zero.(…)
Cercando il termine “creare” in un dizionario, ho trovato questa definizione: “portare a esistere”.(…) Per vita creativa io intendo la possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni cosa in modo sempre nuovo. Mi riferisco all’appercezione in contrapposto alla percezione.
Le origini della creatività
Credo di avere già dimostrato ciò che ritengo essere l’origine della creatività; devo, comunque, fare una duplice affermazione. Il primo punto è che la creatività appartiene al fatto di essere vivi, cosicché il soggetto, a meno che stia riposando, in qualche modo si espande, tanto che, se vi è un oggetto intorno a lui, è possibile che stabilisca con esso una relazione. Il secondo punto riguarda il fatto che l’espandersi fisico o mentale ha significato solo per l’individuo che è là per essere.(…) (Il bambino), deve crescere in complessità e diventare un essere stabile per poter fare esperienza dell’espandersi e trovare un oggetto come atto creativo.(…) Essere prima di fare: il bambino può così controllare gli impulsi senza perdere il senso del sé. All’origine vi è dunque la tendenza dell’individuo, determinata a livello genetico, a essere e restare vivo, e a stabilire una relazione con gli oggetti con cui entra in contatto nel suo espandersi, fosse questo anche mosso dal desiderio di raggiungere la luna.
Mantenere la creatività
Per l’individuo che non abbia subito delle distorsioni a causa di un approccio sbagliato con il mondo, lo sviluppo di quest’attributo desiderabile costituisce un fine importante. E’ vero, come mi si potrebbe far notare, che buona parte della vita è spesa in lavori di poco conto che qualcuno deve pur fare. E’ difficile però parlare di questi lavori in modo univoco, perché qualcuno li trova utili; probabilmente il fatto che lavare un pavimento non impegni molto l’intelligenza dà la gradevole possibilità di uno spazio per l’esperienza immaginativa.(…) In qualche modo, dentro il sistema, ognuno ha la possibilità di vivere creativamente. Ciò implica avere qualcosa di personale, forse segreto, che è inconfondibilmente suo. Al limite il respirare, cosa che nessuno può fare per qualcun altro. Oppure sentirsi se stessi quando si scrive una lettera a un amico o a un giornale, nella speranza che sia letta da qualcuno prima di essere cestinata.
Vita creativa e creazione artistica
(…) Vivendo in modo creativo ci rendiamo conto del fatto che ogni cosa che facciamo aumenta il sentimento di essere vivi, di essere noi stessi. Si può guardare un albero (non necessariamente un quadro) e farlo in modo creativo. Se avete avuto una fase depressiva conoscete al negativo ciò di cui parlo. Quante volte avete detto: “ Fuori dalla mia finestra c’è una pianta, e il sole, e razionalmente so che deve essere uno spettacolo piacevole, per chi lo può vedere. Ma stamattina per me tutto ciò non ha senso. Non riesco a essere partecipe e ciò mi rende profondamente conscio del fatto di non sentirmi reale.”(…)
Ma per vivere creativamente non occorre un talento particolare. E’ un bisogno e un’esperienza universale, (di felicità).(…) Infelice è chi a un certo momento si accorge di aver perso ciò che è essenziale per l’essere umano, e che è ben più importante del cibo o della sopravvivenza fisica.
(…) Ci sono persone incapaci di essere creative a causa di coazioni legate al loro passato.(…)
(E ci sono) persone relativamente felici, libere cioè da coazioni. Tra i due estremi (…) c’è una posizione intermedia in cui si trova la maggior parte delle persone. Pur essendo abbastanza felici e creativi, siamo consapevoli del fatto che esiste un certo urto tra l’impulso personale e i compromessi connessi ad ogni tipo tipo di relazione che abbia caratteristiche di affidabilità.
In altre parole, si tratta ancora una volta del principio di realtà, in cui esiste il tentativo dell’individuo di accettare la realtà esterna senza incorrere in un’eccessiva perdita dell’impulso personale. Questo è uno dei tanti problemi fondamentali propri della natura umana, ed è negli stadi iniziali dello sviluppo emotivo che vengono poste le basi della capacità per superarlo.(…)
Se una persona è stata felice può sopportare le difficoltà. (…) Non c’è disillusione (accettazione del principio di realtà) se non sulla base dell’illusione.
(…) Ancora sulle origini della creatività
(…) Ciò che siamo dipende, in gran parte, dallo stadio raggiunto dallo sviluppo emotivo o dalle occasioni che ci sono state offerte per quella parte di crescita che ha a che fare con i primi stadi della relazione oggettuale.
Dovrei dire: felice è colui che è sempre creativo nella sua vita personale come pure nei rapporti con i partner, con i figli, con gli amici ecc. Al di fuori di questo territorio non vi è nulla.(…)
In ogni momento ho la mia piccola esperienza di onnipotenza.(…)
Il bambino acquisisce la capacità di trovare un mondo di oggetti e di idee: è questo lo stadio in cui la madre gli presenta il mondo. Così, all’inizio, grazie alla sua grande capacità di adattamento, la madre permette al figlio di fare esperienza di onnipotenza, di trovare nella realtà ciò che crea e collegare quanto crea a ciò che è reale. Il risultato finale è che ogni bambino inizia con una nuova creazione del mondo. Questo avviene quando le cose procedono sufficientemente bene, come capita in genere. Ma occorre la presenza di qualcuno perché ciò che viene creato sia materializzato e reso vero. Se manca questa presenza, allora, come conseguenza estrema, il bambino diventa autistico – creativo nello spazio – e noiosamente compiacente nelle relazioni (il falso sé). Può essere poi introdotto gradualmente il principio di realtà: il bambino che ha conosciuto l’onnipotenza fa così esperienza dei limiti imposti dal mondo. Ma a questo punto egli è già in grado di vivere in modo vicario, utilizzando i meccanismi di proiezione e introiezione, concedendo, a volte, all’altro un ruolo direttivo e rinunciando all’onnipotenza. Alla fine l’individuo desiste della volontà di essere la ruota o il cambio per adottare la comoda posizione di rotella di un ingranaggio. Aiutatemi a scrivere un inno umanista:
Essere la rotella di un ingranaggio !
Essere parte di una collettività !
Lavorare in armonia con gli altri !
Essere sposato senza perdere l’idea di essere il creatore del mondo !
L’essere umano che all’inizio della sua vita non fa esperienza di onnipotenza non avrà mai la possibilità di essere la rotella di un ingranaggio, ma sarà costretto a continuare a girare attorno a onnipotenza, creatività e controllo, con la stessa fatica che farebbe uno che cercasse di vendere azioni di una società inesistente.(…)
Non si tratta tanto di dire:” Chiedi e ti sarà dato”, ma: ”Espanditi e troverai l’oggetto da possedere, da usare e da gettare”. Questo è l’inizio, che deve però perdersi nel processo di introduzione del mondo reale e del principio di realtà: ma le persone sane escogitano modi e mezzi per recuperare la sensazione di pienezza di senso che viene dalla vita creativa. Sintomo tipico di una vita non creativa è la sensazione che nulla abbia senso, che tutto sia privo di interesse, inutile.(…)
E’ chiaro che sto cercando di arrivare a un livello piuttosto profondo, se non addirittura alle basi. Un modo per cucinare salsiccie è quello di seguire attentamente i consigli di un esperto; un altro, invece, è quello di prendere delle salsiccie e cucinarle a caso, come se lo facessimo per la prima volta. Il risultato può essere lo stesso, ma è più divertente vivere con un cuoco creativo, anche se a volte il risultato può essere disastroso, o il sapore può rivelarsi strano e far sospettare il peggio.
Ciò che voglio dire è che per il cuoco le due esperienze sono differenti: quando si conforma alle regole, non trae nulla dall’esperienza, se non un rafforzamento della sensazione di dipendenza dall’autorità; quando agisce in modo originale, si sente più reale e si stupisce di ciò che gli passa per la mente mentre cucina.
Quando ci stupiamo di noi stessi, siamo creativi e ci rendiamo conto di poterci fidare della nostra inaspettata originalità.
Non ci cureremo del fatto che coloro che mangiano le salsicce non notano ciò che si nasconde dietro la loro cottura oppure se le persone non mostrano di apprezzarle.
Penso che non vi sia nulla che non possa essere fatto in modo creativo, se la persona è creativa o ha la capacità di esserlo. Ma se un individuo è continuamente minacciato dall’estinzione della creatività, non gli restano che due possibilità: sopportare una noiosa accondiscendenza o esasperare l’originalità con il risultato di ottenere delle salsicce assolutamente eccezionali o del tutto immangiabili.
Penso che sia vero che, per quanto povero sia il bagaglio personale, l’esperienza può essere creativa e sentita sempre come emozionante, in quanto c’è sempre qualcosa di nuovo e inatteso nell’aria.(…)
Il fatto è che ciò che creiamo esiste di già: la creatività consiste nel modo in cui giungiamo alla percezione, attraverso il concepimento e l’appercezione.(…)
Voglio che sia chiaro che la vita creativa implica, in ogni suo dettaglio, un dilemma filosofico: nella salute, infatti, noi creiamo solamente ciò che troviamo. (…)
*Tratto da: Donald W. Winnicott (1986), Dal luogo delle origini.
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