Non spingete il fiume, scorre da solo
Fritz Perls
Si narra che il fiume
correndo verso il mare
racconti a sé stesso delle fiabe
per farsi compagnia
e per avere meno paura
di quell’attimo in cui diventerà immenso
Chandra Candiani, Sogni del Fiume
Nel corso della mia pratica e della mia esperienza mi sto rendendo conto sempre di più di come la Biodinamica Craniosacrale e la Gestalt ad indirizzo fenomenologico-esistenziale, pur con storie e culture diverse e con fondamenti teorici e operativi propri, condividono alcuni presupposti fondamentali quali la visione dell’organismo come un insieme e insieme al suo ambiente, la fiducia nella capacità dell’organismo nel processo creativo di realizzazione e autoregolazione del sé, l’orientamento alle risorse e alla consapevolezza, la qualità della relazione al centro, l’esistenza come un fluire.
I due approcci, con mezzi diversi quali il contatto con il corpo da un lato e l’incontro dialogico dall’altro, e modalità diverse, un ascolto percettivo nella Biodinamica, un’interazione dialettica nella Gestalt, condividono anche la stessa forma di comunicazione, quella affettivo–analogica, che passa dal sentire momento per momento nell’esperienza di relazione della sessione, e la stessa finalità, quella di aiutare la persona ad aiutarsi nel progetto e processo di realizzazione di sé, ponendo in primo piano la fiducia nelle forze vitali intime e di autorigenerazione dell’essere umano, la capacità di un ascolto attento e equanime e la capacità di stare in una relazione intersoggettiva, una relazione, usando le parole di Martin Buber, io-tu, che comprende un’interazione emotiva anche dei due mondi interni.
E’qui che ha luogo il processo di cambiamento, la ricerca verso un nuovo equilibrio, una nuova percezione di sé e delle proprie risorse, che porta alla consapevolezza dei propri processi interni e nella relazione con l’altro e ad esplorare e sperimentare nuovi passi su nuovi sentieri nel proprio “spazio di vita”, come lo definisce Kurt Lewin.
Lo spazio di vita infatti può essere visto come un vasto campo di relazione interno e esterno, dove modi familiari e ripetuti nel tempo rendono difficile e interrompono il potersi muovere con libertà amorevolezza e creatività tra i vari momenti e luoghi della propria esistenza.
E’ lo spazio affettivo interno, della vita creativa, che contiene le risorse per tranquillizzare l’animo, sentire un buon dialogo tra le nostre parti interne, riconoscere ed esprimere le proprie emozioni e sentimenti, attraversare i dolori e le difficoltà, stare in relazione e vivere realmente il presente.
Come operatori della relazione d’aiuto, penso che la consapevolezza della nostra presenza e interdipendenza dell’altro, diverso da noi, e il nostro coinvolgimento nella relazione sono forse le cose più importanti. Situarsi nel luogo dell’altro è ritrovarsi in una situazione di incertezza non sapendo che cosa si incontrerà nell’altro, che cosa accadrà mettendosi nei panni dell’altro, che cosa sta accadendo all’altra persona, che cosa vuole l’altro, che cosa vuole l’operatore.
E’ aprirsi a un continuo dialogo co-creato, all’intreccio delle infinite mosse, all’incontro dei rispettivi mondi, delle reciproche emozioni, sentimenti e intenzioni, tollerando il dubbio del non sapere e l’ampio spettro degli stati affettivi, un processo intersoggettivo vivo e imprevedibile.