La Mia Visione

Non vediamo le cose come sono, le vediamo come siamo
Talmud


Vengo da una formazione di ricerca. La ricerca mi accompagna dall’infanzia, come una tensione di fondo. E’ diventata nel tempo una piacevole inquietudine, una passione verso il voler comprendere e condividere, un lasciarmi coinvolgere senza opporre resistenza, un inchino a quello che è e che risuona vero per me in quel momento, un ricominciare sempre*.

Questo accade tra me e me, e nella relazione con l’altro. 

Ho inizialmente scelto la via della ricerca scientifica ma ho praticato la ricerca interiore con la psicoterapia personale, la relazione d’aiuto, e poi la meditazione, la Biodinamica Craniosacrale, la Gestalt, scoprendo punti di osservazione e di esperienza diversi ma anche risonanze, echi e  combinazioni  soprattutto sull’essere in relazione nell’esperienza della relazione d’aiuto, ma più in generale sul modo di essere in relazione con ciò che ci fa sentire vivi, che amiamo e dà senso alla nostra esistenza, sul piano del desiderio, delle emozioni, dei sentimenti.

Nella Biodinamica e nella meditazione ho scoperto l’importanza del campo, un senso amorevole di appartenenza, un campo, come dice Rumi, immenso, complesso, che ci comprende, che non è solo noi, dove incontrarsi è un po’ un mistero.

Nella Biodinamica Craniosacrale il campo di esperienza sta cambiando, spostandosi sempre di più verso la relazione e la cura della relazione (nel senso del prendersi cura),  che aiuta l’esperienza del sentire del cliente, un sentire che non è solo un sentire nel corpo ma che si apre verso l’emozione, il sentimento, verso il riconoscerli nel momento presente, attraversarli pienamente e accoglierli.

La Gestalt mi ha fatto scoprire l’aspetto espressivo del sentire, il lato creativo e libero dell’espressione all’interno della relazione e l’importanza del radicare l’esperienza percettiva e di consapevolezza nel contesto del tempo, nello spazio di vita reale. 

Questo ha dato importanza e legittimità anche al nocciolo, il nostro senso esistenziale con cui facciamo le cose.

Ho ritrovato e integrato anche il piacere investigativo, della ricerca e partecipazione al processo dell’altro, ma anche l’attesa e il piacere di fronte al piacere del cliente quando arriva con sorpresa alla sua scoperta.

Come Winnicott, sono sempre stata convinta che in ogni persona c’è la speranza che un giorno una via di alleggerimento del proprio bisogno e disagio potrà essere trovata, la speranza di essere compresa e aiutata e la capacità di fidarsi e di credere che troverà aiuto, un aiuto perché il processo creativo della vita possa riprendere. Non si tratta di soddisfare o di rispondere ai bisogni, ma di rispondere a un incontro e a un confronto. Il bisogno infatti è prima di tutto relazionale e chiede una relazione.

“La vita stessa è un processo relazionale, che sia con l’ambiente, con gli altri, con sé stessi, è un processo continuo di relazione, caratterizzata soprattutto dalla soggettività e dall’affettività”(D. Toneguzzi, La comunicazione affettiva).

Illustrazione di Berta Flores Aricò

E’ una posizione etica che richiama in un senso globale il modo in cui costruiamo e ci prendiamo cura dell’ambiente che ci contiene, vivente e non solo, delle nostre relazioni, del nostro spazio di vita, una prospettiva “relazionale” che ci coinvolge da vicino e che attualmente sembra essere controcorrente, che possiamo sentire sulla nostra pelle attraverso le parole degli autori di questi due testi recenti che mi ha fatto un immenso piacere leggere e che mi fa piacere condividere qui: 

“Sentirsi al sicuro non vuol dire creare nuove modalità di adattamento alla realtà, ma conoscerla meglio, esplorando le sue diverse possibilità e dimensioni, sentirla più vicina e più accogliente. Il sentirsi al sicuro non lo creiamo con un assetto difensivo nei confronti del mondo, ma abitandolo con un senso di libertà che deriva da una intima, attenta relazione con esso, fondata sulla cura. Prendersi cura di noi e degli altri, degli ambienti in cui viviamo, degli oggetti che usiamo o costruiamo, è una cosa complessa e di per sé appagante. Si prevengono i danni delle alluvioni costruendo argini sulle rive del fiume o si evita il logorio del legno impregnandolo di olio che lo protegge dalla pioggia. Si riparano le scarpe risuolandole. Si potano gli alberi per aumentare la qualità del loro prodotto. Si scelgono con attenzione le parole di una dichiarazione d’amore o di una poesia perché esprimano nel miglior modo i sentimenti che li animano. Si sperimentano diverse possibilità espressive sul taccuino di un pittore o di un architetto o sulla tastiera di un pianoforte. Si prende la giusta misura della distanza per godere di un panorama o per fare un salto, o del tempo per coordinarsi nel ballo con il proprio partner. Si valutano, con l’aiuto della prudenza e della moderazione, le conseguenze dei propri gesti e ci si affida alla potenza intuitiva dell’immaginazione per indovinare passaggi che la più potente capacità di misurazione e osservazione non potrebbe inquadrare.”. Dall’articolo La sicurezza, la cura e la salute mentale di Sarantis Thalopulos su Il Manifesto del 29 aprile 2023.)

 

Illustrazione di Berta Flores Aricò

“Ci capita raramente di fermarci a immaginare che forma abbiano le cose viste attraverso gli occhi di un altro (…) Siamo partiti da una consapevolezza: per capirci non potevamo solo discutere delle nostre posizioni e decidere quale fosse razionalmente preferibile. Dovevamo scoprire da dove venivano le rispettive opinioni, provare a vedere le cose con occhi differenti, prima di parlarne con parole differenti. Occorreva mettere in dubbio le reazioni istintive, le formule automatiche, gli schemi mentali rigidi. Così abbiamo smontato e rimontato discussioni del passato che spesso erano finite male. O anche molto male. Questa volta con uno spirito di curiosità e sperimentazione. Con la convinzione che non conta trovare risposte precise e univoche, ma un modo diverso di costruire le domande. Dovevamo riuscire a prendere sul serio l’uno il punto di vista dell’altra (…). Dobbiamo partire dal presupposto che la prospettiva della nostra controparte abbia una coerenza interna, invece di liquidarla come irragionevole. E dobbiamo dare per scontato che sia concepita in buona fede. Nell’universo soggettivo di chi ci è di fronte, ci sono ragioni per credere quello che crede (…). Insomma, dobbiamo accettare e sopportare l’ambiguità invece di rincorrere risposte automatiche che confermino la nostra visione del mondo. Un’impostazione che assomiglia molto a quella proposta dal poeta inglese John Keats con la nozione di ‘capacità negativa’(…) ‘e cioè quando un uomo è capace di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione (…) perché incapace di rimanere appagato di una quasi-conoscenza’. Per Keats, accettando l’incertezza, il caso, il disordine, l’errore, il dubbio, è possibile osservare più in profondità, cogliere le sfumature e i dettagli, porre nuove domande, anche paradossali, e allargare i confini della conoscenza e della consapevolezza. La capacità negativa consiste nel porsi di fronte all’esistenza senza rifugiarsi negli schemi delle soluzioni precostituite e rassicuranti, accettando i punti di vista diversi dal nostro e l’idea che tali punti di vista contengano elementi di verità. (…) La varietà di vedute è non solo un elemento inevitabile, ma una condizione necessaria per una società e una democrazia sane. (…)

Il fatto che percepiamo la vita in modo così diverso gli uni dagli altri può essere causa di angoscia o di meraviglia. Certo, ci costringe a confrontarci con la consapevolezza che non disporremomai di una versione oggettiva delle cose. (…) In fondo, è un sollievo sapere che il mondo non finisce laddove si ferma la nostra limitata percezione: che esistono altre possibilità. Il sinologo e filosofo F. Jullien ha detto che il vero compito della filosofia è produrre uno scarto: ‘Significa uscire dalla norma, procedere in modo inconsueto, operare uno spostamento rispetto a ciò che ci si aspetta e a ciò che è convenzionale. In breve, vuol dire rompere il quadro di riferimento e arrischiarsi altrove, temendo altrimenti di arenarsi’. L’obiettivo è aprire un varco, un sentiero che si insinui tra le nostre idee precostituite per ‘riconfigurare il campo del pensabile’, per scongiurare la tendenza che è in tutti noi di ritenere che la nostra sia l’unica realtà. ‘Non ci sentiamo ricordare volentieri la falsità del nostro mondo. Il nostro mondo è il vero mondo; insensati, falsi, illusori, stravaganti sono i mondi degli altri ‘(P. Watzlawick – Istruzioni per rendersi infelici).
Allora ecco: è tempo di sospendere le nostre certezze e iniziare un viaggio negli universi degli altri.” (Gianrico e Giorgia Carofiglio, L’ora del caffè
 ).

 

*Grazie a Corrado Pensa per questo insegnamento e incoraggiamento continuo e generoso.


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